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Una, tante Milano in una sola.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • May 13, 2021
  • 2 min read

Quante Milano ci sono? Tante direi, tutte quelle che possiamo contenere nella nostra memoria individuale e nella memoria collettiva. Quest’ultima, intesa come somma di tante memorie individuali che si sono stratificate, sedimentate nel tempo.

Per me c’è la Milano surreale, fantastica di De Sica in “Miracolo a Milano”, nella scena finale in cui i barboni rubano le scope agli spazzini e prendono il volo verso il cielo, verso un paese immaginario tanto desiderato. C’è la Milano delle fabbriche, delle ciminiere, dello smog, della fatica, dell’immigrazione, di “Rocco e i suoi fratelli” di Luchino Visconti. La Milano allietata nelle feste natalizie dalle luminarie della Rinascente, dalle insegne dei grandi marchi dei signori Motta e Alemagna. La Milano di piazza Fontana, degli anni di piombo, della paura ad uscire di casa, di una piazza Duomo deserta, spettrale alla notizia del rapimento Moro. Poi arrivò “la Milano da bere”, dei locali alla moda, della finanza facile. La Milano di mani pulite e così via, l’elenco potrebbe essere infinito.

Sullo sfondo sento anche le parole, la musica delle canzoni di Giorgio Gaber con la sua ballata del Cerutti Gino, chiamato Drago dagli amici del bar del Giambellino. Di Enzo Jannacci che ci racconta di una città, di una Milano degli anni ’60 e ’70, dei quartieri popolari, dell’Ortica, delle case di ringhiera, di quelli che... portaven i scarp del tennis senza una lira e dei piccoli delinquenti un po’ balordi, un po’ sfigati. Di Adriano Celentano nato in via Gluck al civico 14, in una casa allora fuori città. Di Memo Remigi che ci dice come è strano sentirsi innamorati a Milano. Di Roberto Vecchioni che rimpiange le luci a San Siro, metafora della gioventù che non può ritornare. Anche qui l’elenco potrebbe proseguire per pagine e pagine.

Un ultimo ricordo. Di quando avevo l’ufficio in Galleria del Corso 1, al sesto piano. Cosa che mi permetteva di guardar fuori dalla finestra e ammirare il tramonto su Milano. Di intravedere attraverso le guglie del Duomo, la signorina Kores instancabile dattilografa ad intermittenza. Alle prese con nastri per macchine da scrivere, carta carbone e correttori: ma il progresso informatico e la new economy hanno mandato in pensione l’instancabile segretaria. L’hanno tolta di mezzo, come hanno levato tutte le insegne luminose su palazzo Carminati.

Chissà perché? Chi l'avrà deciso? Non è stata decisamente una cosa furba.

Per una volta tanto che ne fanno una giusta potevamo imitare gli inglesi: loro non si sono mai sognati di togliere le insegne luminose a Piccadilly Circus. Per fortuna i ricordi rimangono, quelli no, non ce li possono togliere. Teniamoceli stretti.

 
 
 

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