Siamo pronti ad entrare nella mischia?
- Carlo Colombo
- Mar 22, 2021
- 3 min read
Perché il rugby è così diverso da tutti gli altri sport?
In generale, sappiamo che ogni pratica sportiva aiuta a superare la divisione tra ruoli, a creare entusiasmo, a generare condivisione: nel rugby, in modo particolare, riusciamo a sperimentare tutti quegli elementi che fanno di un gruppo una squadra.
Nel rugby il concetto di interdipendenza è l’unico modo possibile d’ intendere il gioco di squadra: è il suo modo di essere. Si capisce subito se la cooperazione funziona o meno.
Il rugby ha radici storiche, profonde nel senso di appartenenza, nel sostegno, nella conquista, nell’avanzamento, nella continuità, nella disciplina, nell’interiorizzazione delle regole e nel rispetto dell’avversario. Poi c’è anche la flessibilità: nel rugby si va sempre avanti, passandosi la palla all’indietro. Questa dinamica in apparenza sembra assurda: in realtà sviluppa la capacità di riadattarsi mentalmente al continuo evolversi di una situazione. Nel rugby devi “saper raccogliere la palla e sapere cosa farne”, in qualunque situazione di gioco ti trovi, anche se non sei nel tuo ruolo. Quindi specializzazione, ma anche flessibilità e conoscenza del lavoro degli altri.
Qualcuno ha scritto che: “Mentre stai facendo tutta una serie di ragionamenti, ricordati che vi sono altri 29 che ti stanno guardando, 14 sono tuoi compagni di squadra, ma 15 no. Per la cronaca, tre ti stanno correndo addosso, due grossi e uno piccolo, ma cattivo".
Benvenuti nel mondo del rugby!"
Tutti, almeno una volta, abbiamo avuto occasione di vedere una partita di rugby o siamo stati attratti dagli All Blacks mentre eseguono una haka, danza tipica dei Māori di grande effetto scenico e motivazionale.
Ma nelle organizzazioni come si può passare da gruppo a squadra vincente? Quale aiuto ci può dare il rugby in questo sforzo? Quali dimensioni del gioco ci sembrano replicabili e quali no?

Dopo aver risposto a tutte queste domande, siete pronti ad entrare nella mischia?
Questa può apparire agli occhi del profano una zuffa, una mera azione di forza: in realtà, è una cosa complessa. Noi vediamo sul campo otto giocatori per squadra, che si mettono in formazione “legandosi insieme in tre file”. Questa particolare unione crea un tunnel dove il mediano di mischia, al contatto spalla a spalla dei due schieramenti, introduce il pallone e i giocatori della prima linea si contendono il possesso, tallonandolo con i piedi. La mischia ordinata ha fine quando la palla, viene fatta uscire dal retro della mischia stessa, ed è raccolta da uno dei mediani per riprendere il gioco.
Più di ogni altra situazione di gioco, nella mischia trova la sua massima espressione il principio che: “il tutto è superiore alla somma dei singoli”. La protezione di ogni singolo giocatore è assicurata dal lavoro collettivo di tutti gli otto uomini: quando la mischia è ben legata, strutturata e spinge nella giusta direzione, nessun giocatore rimane esposto e vulnerabile agli incidenti. Gli otto devono costituire un corpo solo, garantire la solidità del “pacchetto” allo scopo di aumentare l’efficacia della spinta.
In moltissime partite si è potuto constatare come l’aspetto psicologico nella mischia influisce sul risultato finale. Qualcuno ha definito la mischia come “la sfida nella sfida”. Quante volte il crollo di una squadra è segnalato, in anticipo, dai cigolii della mischia ordinata? Il responso è univoco: sempre.
Il bello del rugby è che non esistono ruoli marginali, momenti in cui la squadra non sia tutta coinvolta. Questo insegna il rugby ai gruppi di lavoro: una continua e piena assunzione di responsabilità.
Tutti siamo chiamati a fare delle scelte, in un campo di rugby, sul luogo di lavoro, in qualsiasi tipo di organizzazione: è “la leadership del portatore di palla”. In una specifica fase, situazione che stiamo affrontando, abbiamo la responsabilità momentanea di decidere come avanzare verso la linea di meta, come guadagnare terreno, quale direzione prendere e in che modo farlo. Tocca a noi, non agli altri!
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