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“Il vecchio e il mare” di Ernest Hemingway, ovvero la forza di ricominciare.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • Apr 2, 2021
  • 5 min read

Diversi scritti di Hemingway hanno dato vita a film di successo. Basti ricordare “Per chi suona la campana” del 1943 con Gary Cooper, “Le nevi del Kilimangiaro” del 1952 con Gregory Peck, “Addio alle armi” del 1957 con Rock Hudson, e così lo è stato anche per “Il vecchio e il mare” uscito nel 1958, con Spencer Tracy. Per gli spettatori, attirati più dalla visione di un film che dalla lettura di un libro, Hemingway non ha mai avuto una vera identità: ha assunto, di volta in volta, le sembianze degli eroi di celluloide. Così è accaduto anche per il vecchio Santiago.

Nella valigia della mia infanzia c’è il ricordo di un film in bianco e nero alla tv, credo avessi sette anni. Il libro l’ho letto molto tempo dopo, solo nel 2007, nella versione Oscar Mondadori, con la postfazione di Fernanda Pivano che era a Cuba nel 1956, per incontrare Hemingway, proprio nei giorni in cui stavano girando le scene del film.

Il racconto è stato scritto da Hemingway nel 1951, la prima stesura gli comportò otto settimane di lavoro. Sembra però che fosse già nella sua testa dal 1936, o meglio in bozza. Fu pubblicato nel 1952, vincitore del premio Pulitzer nel 1953 e, infine, contribuì a fargli ottenere il premio Nobel nel 1954. Il film, come abbiamo visto, uscì poco dopo nel 1958. Una sequenza di accadimenti davvero fortunata! Purtroppo, Hemingway, solo tre anni dopo, prese una decisione diversa, rispetto a quanto la vita gli stava offrendo. Forse aveva deciso che, come lui stesso scrisse: “E’ meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse”. Ora occupiamoci della trama di questo romanzo breve, ambientato a Cuba, nel mese di settembre del 1950.

Santiago è perseguitato da una sfortuna nera che ha portato a ben ottantaquattro i giorni trascorsi, senza aver pescato nulla. Nel villaggio tutti ormai pensano che il vecchio sia stato colpito da una salao, che è la peggior forma di sfortuna possibile. Per i primi quaranta giorni nelle sue battute di pesca lo aveva accompagnato Manolin, poi dietro la pressione dei genitori il ragazzo si sposta su un’altra barca che prende, tre bei pesci, nella prima settimana di pesca. Ma il ragazzo è molto affezionato a Santiago e continua a frequentarlo, aiutandolo con le reti e le provviste. Ha un debito di riconoscenza verso il vecchio che gli ha insegnato a pescare da quando aveva appena cinque anni e tra di loro è nata una solida amicizia, tra uomini. Parlano dell’Africa, dei leoni, dei ricordi del vecchio, della moglie che non c'è più, della sua passione per il baseball e per il grande Joe Di Maggio.

Il vecchio non si abbatte, già in passato gli era successo di non pescare nulla per ben ottantasette giorni di seguito. Non si era demoralizzato e alla fine aveva avuto ragione. Anche questa volta era convinto che “le lenze le teneva al posto giusto. Soltanto non aveva più fortuna. Ma chissà? Forse oggi. Ogni giorno è un nuovo giorno. È meglio quando si ha fortuna. Ma io preferisco essere a posto. Così quando viene sono a posto”.

Santiago decide di porre fine alla sfortuna e di avventurarsi da solo più lontano del solito, in mare aperto. I suoi sforzi vengono ricompensati da un gigantesco marlin, del peso di quasi sette quintali, che abbocca all’amo. “Un pesce che bastava a mantenere un uomo tutto l’inverno”. Tra il vecchio pescatore e la sua preda inizia una lunga battaglia che durerà per quasi tre giorni. Il marlin per liberarsi tira la barca verso di sé e Santiago, negli sforzi per trattenerlo, si ferisce più volte alle mani finché, allo stremo delle forze, riesce ad attirare il pesce verso lo scafo e lo finisce con una fiocina.

Ma sulla via del ritorno il pesce, legato al fianco della barca, lascia dietro di sé un’abbondante scia di sangue che attira gli squali. Santiago riesce ad ucciderne molti ma, quando la barca giunge finalmente in porto, del marlin non restano che pochi brandelli. Stremato e arrabbiato con se stesso per essersi spinto troppo lontano e aver sacrificato un “avversario” così formidabile come il marlin, Santiago torna alla sua capanna e si addormenta.

Il giorno dopo una folla di pescatori si riunisce esterrefatta intorno alla sua barca, ammirando la grande carcassa del pesce ancora attaccata allo scafo e “uno si mise a misurarla con un pezzo di lenza”. “Era lungo 5 metri e mezzo dal muso alla coda”. Manolin, preoccupato per la sorte del suo vecchio amico, tira un sospiro di sollievo quando lo trova nella capanna che dorme. “Il ragazzo vide che il vecchio respirava e poi vide le mani del vecchio e si mise a piangere”. Il giovane porta a Santiago il caffè caldo con molto latte e zucchero, “i giornali dei giorni che non c’era”, perché doveva recuperare le notizie sul baseball, sui New York Yankees e sul mitico Joe Di Maggio. Alla fine, i due tornano a pescare insieme. “Ora torniamo a pescare insieme”, disse Manolin. “No. Io non ho fortuna. Non ho più fortuna”. “Al diavolo la fortuna” disse il ragazzo. “La fortuna te la porto io”.


Cosa ha voluto dirci Hemingway con questo suo lavoro? Quali sono i messaggi?

Il motivo conduttore del racconto è la profonda unione tra l’uomo e la natura. La preda non è un nemico da combattere, da distruggere ma, semplicemente, un compagno al quale, durante un lungo inseguimento, il vecchio pescatore si rivolge con rispetto e simpatia. “Vorrei poter dar da mangiare al pesce, pensò. È mio fratello. Ma devo ucciderlo e devo mantenermi forte per farlo”.

Santiago ci aiuta a cogliere l’intima, profonda contraddizione della natura, meravigliosa e crudele nello stesso tempo. Lui sente di essere parte di essa. Predatore e preda, sono solo le facce del ciclo di vita e di morte che unisce tutti gli esseri animati. Una sorta di fusione dell’uomo con la natura stessa. Solo così riescirà ad accettare, con uguale serenità, la sfortuna e il successo. Il combattere allo stremo anche con gli squali, pur sapendo sin dall’inizio che sarà una partita persa.

Hemingway vuole trasmettere il messaggio che non dobbiamo arrenderci mai, qualsiasi sia la lotta che stiamo affrontando. Ogni lotta vale la pena di essere vissuta anche solo per quello che vogliamo, anche a costo di non ottenere quasi nulla.

L’attacco in massa degli squali e lo smembramento del marlin vanificano l’impresa di Santiago, che tornerà al suo villaggio a mani vuote per l’ennesima volta, ma non possono rubargli la consapevolezza profonda della vittoria. Alla fine, possiamo rimanere solo noi e la soddisfazione di averci provato. Questo può bastare a ritrovare la felicità, il coraggio di continuare, di riprovare.

Alla fine Santiago ci dice:“Si ricomincia, sempre. Non conta quanta sfortuna hai accumulato”.

 
 
 

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