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I favolosi anni Sessanta. Prima puntata.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • Mar 23, 2021
  • 3 min read

Updated: Mar 25, 2021

“Ogni volta ogni volta che torno, non vorrei non vorrei più partir, pagherei tutto l’oro del mondo, se potessi restarmene qui”.

Ricordo così la magia che scaturiva da un pezzo di plastica tondo e nero. Un cerchio colorato nella parte più interna, attorno al foro, portava impressi il titolo, gli autori, il cantante, la casa discografica. Bisognava appoggiare il disco su un piatto di metallo, ricoperto di gomma. Sollevare un braccio munito di una puntina che trasformava il contatto con i solchi, in parole e suoni. Questa è stata la mia scoperta del giradischi. Avevo sette anni. Era la prima volta che sentivo la musica uscire da una piccola scatola rettangolare. In un bar, l’anno prima, l’avevo già ascoltata da un juke-box. Però, ora non mi servivano le monetine.

“Ogni volta”, lanciata a Sanremo nel 1964, era cantata da Paul Anka, giovane canadese di genitori libanesi, poco più che ventenne. Già famoso da tempo con “Diana”, scritta per un amore, non ricambiato, per una ragazza più grande di lui. Non a caso diceva: “I’m so young and you’re so old”.

Quell’anno al Festival vinse, a sorpresa, una giovanissima Gigliola Cinquetti con una canzone che divenne subito un tormentone “Non ho l’età (per amarti)”. Come si erano classificati gli altri brani non è dato di sapere. Allora il regolamento prevedeva una sola canzone vincitrice, tutte le altre erano considerate a pari merito. L’altra novità era la partecipazione di artisti stranieri. Ogni testo aveva due interpreti, l’uno italiano e l’altro straniero per l’appunto. Bobby Solo, privo di voce, l’ultima sera aveva esordito in “playback” e si era così giocato la vittoria. Ci sarebbe riuscito l’anno dopo, con “Se piangi se ridi”.

Su un disco a 45 giri erano incise due canzoni. Sul lato “A”, il brano ritenuto di successo, mentre sul lato “B” il brano minore. Come succede nel calcio.

Ogni canzone portava con sé molte emozioni. Era un viaggio che, purtroppo, non durava più di tre, quattro minuti. Il bello però era che il disco poteva essere ascoltato e riascoltato più volte. Tutte quelle che volevo. Bisognava solo fare attenzione al volume per non disturbare i vicini di casa.

Dovetti aspettare l’arrivo dei settantotto giri, o meglio degli LP, e una maggiore disponibilità economica per aumentare la durata delle mie emozioni. Qualche volta accompagnate dai primi innamoramenti. Basti ricordare “Life on Mars?” di David Bowie. Uscì nel 1971.

Due anni dopo il giradischi, i miei acquistarono il nostro primo televisore in bianco e nero. Siamo nel 1966. Non che avessi aspettato sino ad allora per scoprire la tv. Per fortuna c’erano alcune famiglie che la possedevano già e che mi ospitavano volentieri. Non solo perché ero amico dei figli ma credo, soprattutto perché la cosa era per loro un chiaro segno di distinzione sociale. La borghesia però era un termine ancora lontano da scoprire in provincia.

In assenza d’inviti l’alternativa era andare al bar. Per vedere la tv, per noi piccoli, non era obbligatoria la consumazione. Però qualche gelato me lo potevo permettere. Il massimo per me era rappresentato dal Cornetto Algida all’amarena, irraggiungibile. Potevo, a volte, gustarmi un più che onorevole Fior di Fragola che costava la metà, senza alcun timore di fare brutta figura. In carenza di liquidità, potevo sempre ripiegare su un più che onorevole ghiacciolo, magari due. Uno alla menta, l’altro al caramello. I miei gusti preferiti dopo l’arancio.

La domenica andavo all’oratorio. Ricevevo dai miei una mancia che per anni rimase ferma, immobile, ancorata all’importo di ben 100 lire. Ancora non si conosceva il termine inflazione. Cinquanta lire erano per l’ingresso al cinema parrocchiale. Qui vigeva la distinzione delle poltrone riservate ai maschi e quelle per le femmine che arrivavano in gruppo dal vicino oratorio, accompagnate dalle reverende suore. Con il resto dei soldi mi compravo una gazzosa e due stringhe di liquirizia. Servivano da cannuccia, davano un buon sapore alla bibita e alla fine te le mangiavi con gusto. Il segreto era masticarle lentamente per farle durare di più.

Qualche anno dopo, avrei ottenuto il permesso per assistere allo spettacolo serale. In certe occasioni ricordo si andava al cinema anche per due giorni di fila. Questo accadeva quando era in programma un kolossal che durava diverse ore. Il film era diviso in due parti, ma bastava pagare il biglietto solo la prima sera. Così vidi “I Dieci Comandamenti” una domenica e un lunedì di Pasqua. “Ben Hur” lo vidi in un’unica soluzione perché era proiettato nel pomeriggio. E così fu anche per "Il dottor Zivago".

(continua…)


 
 
 

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