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“D’amore si muore ma io no” di Guido Catalano. Da leggere, da ascoltare dal vivo.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • Apr 26, 2021
  • 3 min read

Updated: May 3, 2021

Ho avuto il piacere, con mia moglie Laura, di ascoltare Guido in un suo reading a Vaglio Serra, piccolo borgo adagiato sulle colline astigiane, nel luglio 2016. Alla fine di una serata divertentissima abbiamo acquistato il suo primo romanzo o, meglio: “Il primo romanzo dell’ultimo dei poeti”, come lui stesso scrive. “Laura e Carlo. Grazie di esserci stati. Vi dedico molto!”. Penso che abbia fatto la stessa dedica a tutti: però la nostra copia è la nostra, non di altri. Questo basti per sottolinearne l’originalità. Ma ora veniamo alla trama del suo primo romanzo, “molto autobiografico”.

Giacomo si definisce un “poeta semiprofessionista vivente” nella società occidentale moderna. Per arrotondare (per pagarsi i Negroni, il cinema e il Maalox) senza trascurare l’affitto di casa, tre volte alla settimana passa alcune ore in un ufficio seduto ad una scrivania dove si occupa dell’inserimento dati, assieme ad un tizio di nome Alfio e a "due megere". Finché un giorno il grande capo dottor Lauda, che assomiglia a Richard Chamberlain nei panni di padre Ralph di “Uccelli di rovo”, gli dice che è sottoutilizzato e che andrà a fare un nuovo lavoro al terzo piano nell’ufficio 101 bis con il dottor Jacovelli. Si tratta di un riconoscimento per “il suo attaccamento al lavoro”. Si occuperà, infatti, dell’imbustamento, appiccicamento di francobolli, smistamento e spedizione della corrispondenza.

Giacomo non ha la patente, si sposta sempre in bici nella sua Torino, è un po’ sovrappeso (una decina di chili in eccesso ponderale), è piuttosto basso (brevilineo) e ha una lunga lista di ex ragazze da cui è stato lasciato in tanti modi, più o meno originali. Comunque, sicuramente lasciato.

Mentre vola a Palermo per un reading di poesie incontra Agata, un’aracnologa, che sta andando con la collega Laura a studiare il comportamento di una specie di ragni che vivono nelle grotte siciliane. Giacomo rimane abbagliato dalla "notevolissima bellezza di fondo" di Agata e, lungo il viaggio, si conoscono meglio. Così scopre che anche le due ragazze aracnologhe vivono a Torino. Sull’aereo incrociamo una delle mille fobie di Giacomo: l’aerocessofobia (dal nome già si capisce di cosa si tratta) che è cugina di un’altra sua fobia, quella di rimanere chiuso nei cessi pubblici, in particolare sui treni.

Giacomo è impegnatissimo, a cominciare dal lavoro (sic!), dai reading, dalle visite ai genitori ottantenni, da "La Posta del Colon" (rubrica online dove risponde a domande sul magico mondo del sesso), dalle pizze surgelate consumate a casa sua con la sua migliore amica pazza Francesca che lavora in un negozio di abbigliamento per cani ricchi e sta scrivendo una sceneggiatura dove sono "protagoniste donne giovani e cazzute con molto sesso e battute brillantissime" che diventerà una serie televisiva, per arrivare alle mail con l’amico bulgaro, o meglio italo-bulgaro, Todor che traduce le sue poesie in lingua bulgara e ... ultimo, ma non ultimo con le sue ipocondrie "a manetta".(modo di dire piemontese).

Giacomo un mercoledì pomeriggio va al cinema per vedere i Minions (ometti gialli in salopette di jeans che si muovono per le strade di New York). Qui incontra Agata con la sorellina Anna. Che lui poi chiamerà Mini Agata, appena ripresosi dallo spavento perché aveva pensato che fosse la figlia di Agata. Da quel giorno i due si frequentano e presto si scoprono innamorati, iniziano una relazione densa di frasi romantiche e non, (soprattutto non) dove la realtà supera ogni possibile fantasia…

È la storia fra una bellissima ragazza intelligente e determinata e un quarantenne complessato che ha come coscienza Tonio Cartonio (folletto bibitiere della Melevisione in arancione per programmi per bambini), che incrocia quando va al supermercato ad acquistare la solita insalata "autocondente" uso ufficio e trova sempre alla cassa una cassiera che lui ritiene troppo magra.

Dopo ben 99 capitoli, che possiamo pensare come novantanove quadri di un reading, arriva il capitolo “Fine?”. Agata è partita da un mese per le Americhe per un dottorato di ricerca e Giacomo, finalmente, si decide a prendere l’aereo. Dopo tre ore circa si alza dal posto esterno dove è seduto, si dirige verso il cesso e, dopo uno scambio di frasi con la hostess vi entra, chiude il coperchio e si siede per scrivere una poesia. (Ma anche questo è amore!) Poi la darà ad Agata, …guardandola negli occhi.


In questo romanzo è molto facile provare simpatia per il protagonista. Tutti noi possiamo riconoscerci in "Giacomoguido" o "Guidogiacomo" che dir si voglia, (in ogni caso, la macchina ce la dovete mettere voi: lui non ha la patente e non guida) perché tutti noi siamo stati, almeno una volta nella vita, imbranati, buffi e aggiungiamo anche goffi: si chiamava amore. E d’amore, si può anche morire (ma noi no).

 
 
 

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