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C'era una volta Carosello.

  • Writer: Carlo Colombo
    Carlo Colombo
  • May 26, 2021
  • 5 min read

Updated: May 27, 2021

Sono nato il 25 marzo del 1957, Carosello il 3 febbraio (anticipandomi di poco). Poi sono stato tra i fortunati che “dopo Carosello non andavano a letto”, infatti, mi era concesso di vedere i film, allora in bianco e nero.

La prima pubblicità che ricordo, o “réclame” come si diceva allora, è quella della brillantina “Linetti”. Alla fine, Cesare Polacco, nei panni dell’Ispettore Rock, si toglieva con studiata lentezza il cappello facendo vedere il suo cranio calvo e rispondendo al suo assistente che gli diceva: "Lei è un fenomeno, Ispettore. Non sbaglia mai!", pronunciava la celebre frase: "Non è esatto! Anch'io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Linetti".

Poi ricordo quella della “China Martini”. La trama di ogni episodio era molto semplice: Ernesto Calindri nei panni di un distinto Commendatore si confrontava sui propri gusti e abitudini con un originale Colonnello, interpretato da Franco Volpi.

Le opinioni dei due potevano anche essere diverse, però su una cosa non si poteva che andare d’accordo: la bontà della China Martini. Così, nel bel mezzo del brindisi, il Colonnello e il Commendatore intonavano il celeberrimo motivetto: “Fin dal tempo dei Garibaldini, China Martini…” sotto lo sguardo compiaciuto del barista, interpretato da Camillo Milli. Oltre al jingle, non mancavano, le frasi tormentone: al “Dura Minga” di Calindri, Volpi rispondeva sempre con un enfatico “Osteria!”.

Non ultimo, il ricordo di Tino Scotti negli episodi legati al confetto Falqui. Nella pubblicità Scotti, nei panni dell'omonimo Professore, disquisisce sulle parole difficili e gli equivoci che da esse derivano, cercando un’improbabile spiegazione. Gli viene sempre in aiuto qualcuno e la soluzione arriva, e così alla fine dice: "Succede sempre così con una parola poco usata, ma quando si dice Falqui: basta la parola! Il confetto venduto nelle farmacie al dolce sapore di prugna che regola l'intestino. Falqui: basta la parola!".



A partire dalla sua nascita Carosello andò in onda sino al 1° gennaio 1977. Molto era cambiato in quei vent’anni: i consumatori, il mercato pubblicitario aveva visto, via via, il predominare delle agenzie nei rapporti con il cliente rispetto alle case di produzione (tarpando così le ali ai creativi), i costi erano diventati onerosi, un numero sempre maggiore di aziende voleva usare la tv come canale pubblicitario, erano nate anche le prime tv commerciali oltre alla seconda rete della Rai, la durata stessa degli sketches era troppo lunga. Nei 2 minuti e 15 secondi di una singola pubblicità, trovavano spazio una mezza dozzina o più di spot. Ormai ritenuto poco pratico e dispendioso, Carosello venne spedito in soffitta. Quasi venti milioni di telespettatori italiani assistettero perplessi e rammaricati alla sua fine. L'ingrato compito della chiusura del programma fu affidato a Raffaella Carrà, protagonista dell’ultimo sketch di Carosello che pubblicizzava il brandy Stock. Con la fine di Carosello, anche il mercato dovette sopportare un riposizionamento importante che vide il ridimensionamento e la chiusura di storiche case di produzione.

Gli studi di Cinelandia dei fratelli Gavioli furono ceduti nel 1979 ad un certo Silvio Berlusconi che, dal mattone di Milanodue, stava passando ai palinsesti di Mediaset.

Durante la lunga parentesi ventennale, molti furono i registi, gli attori, i cantanti e le case di produzione che si cimentarono nel costruire storielle simpatiche, accattivanti che coronavano in quei trenta secondi finali, tecnicamente denominati “il codino” in cui si poteva citare il prodotto. E, già il giorno dopo, il ritornello entrava nel linguaggio degli italiani che avevano imparato che si poteva comprare anche a rate, complice appunto la pubblicità. Erano gli anni del boom economico!

Nel suo primo decennio di vita e oltre, Carosello ne fu fedele interprete, spingendo i telespettatori, nonché consumatori verso nuovi stili di vita, nuovi modelli di consumo. Attraverso i quotidiani e le riviste, la pubblicità aveva già giocato un ruolo importante nel promuovere i prodotti ed invogliarne l’acquisto. Ma è grazie alla televisione che, nel bene e nel male, si sviluppa anche in Italia la corsa al possesso di beni di consumo durevoli e non. Ci si ispira ai modelli di vita domestica della borghesia che vive nelle città, rispetto ad un paese ancora storicamente e tradizionalmente contadino.

Siamo, dunque, nel pieno del cosiddetto “miracolo economico italiano”. Dalla primavera del 1955 aveva iniziato a circolare sulle strade italiane la Fiat 600 e nel 1957 era comparsa una vettura, sempre a prezzo contenuto e acquistabile a rate, la “500” che incontrò subito un successo analogo. Poi vi era la “Giulietta” dell’Alfa Romeo, l’auto da sogno per gli italiani. Dopo la Vespa e la Lambretta era nata la motorizzazione di massa che correva sulle nuove autostrade.

Carosello, inoltre, convinse noi italiani della comodità delle lavatrici automatiche e di quei detersivi che ridanno candore alla biancheria: ammolli, candeggi e smacchiature sono le argomentazioni con cui il marketing televisivo “seduce” le massaie italiane perché cambino le proprie abitudini.

E se è vero che gli acquisti dei prodotti reclamizzati da Carosello erano compiuti dagli adulti, anche l’universo dei ragazzi e dei bambini, che andavano a letto subito dopo Carosello, era affascinato dagli sketches di animazione e, quindi, direttamente coinvolto e pronto a manifestare i suoi bisogni di consumo ai genitori ed ai nonni. Tutto ciò era molto apprezzato dagli industriali italiani che ritenevano che il ruolo dei figli nel convincere i genitori all’acquisto avesse enorme importanza, coniugandosi con il “mammismo” tipico della famiglia italiana.

Rispetto alla presenza di storielle, scenette con attori noti o meno e cantanti la vera novità fu appunto costituita dai cartoni animati. I caroselli così realizzati erano originali e inediti, con personaggi, autori nuovi e un linguaggio e un ritmo coinvolgenti. Carosello divenne rapidamente il sacrario del cinema d’animazione dove lavoravano in pratica tutti i disegnatori e gli studi italiani in attività. E come riassume Roberto Gavioli della Gamma film: “La scelta di privilegiare l’animazione risulta azzeccata, nonostante qualche timore iniziale”.

Complice la RAI che operava in regime di monopolio, Carosello raggiunse picchi di diciannove milioni di telespettatori a sera: un vero successo!

Se Carosello nei suoi vent’anni di esistenza era stato oggetto di forti critiche da parte degli intellettuali e opinionisti che lo ritenevano un subdolo strumento del consumismo, con la sua scomparsa abbiamo assistito invece, nei decenni successivi, alla crescita esponenziale della pubblicità televisiva.

Oggi, infatti, subiamo una serie ininterrotta e ripetitiva, sino allo sfinimento, di spot come elemento guida di ogni rete: talvolta ci accorgiamo, qua e là, di qualche interruzione rappresentata dalla proiezione di un film, di una fiction o di un varietà.

Carosello al suo avvio suscitò diversi timori, vincoli e perplessità nel mondo politico, tra gli editori della carta stampata, tra coloro che ritenevano illogico o addirittura illegale inserire la pubblicità in televisione per cui si pagava, comunque, un canone. In più vi era la regola non scritta, ma messa in atto sin da subito di relegare il prodotto alla fine e in uno spazio ben definito.

Il successo di Carosello, della sua formula nata da tutte queste “attenzioni” appare certamente singolare. Ma tutto ciò accadeva grazie a coloro che diedero il loro apporto creativo, a volte tracciando percorsi di comunicazione, o meglio di creatività che, ancora oggi, possiamo considerare alla stregua di avanguardie.

 
 
 

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