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formazione da prendere al volo
Mi piace la formazione. Soprattutto, mi piace fare formazione. Ho iniziato questo mestiere appena dopo la metà degli anni ottanta, quando la lavagna a fogli mobili si chiamava ancora così, poi si è iniziato ad indicarla come flipchart. Da allora il british gli è rimasto addosso. Avevo a disposizione un proiettore che ti accecava ogni volta che scrivevi qualcosa sul lucido, con un pennarello indelebile. Di solito, ne avevi a disposizione due, se fortunato arrivavi a quattro: nero, rosso, blu e verde. Oggi mi collego via Skype, faccio formazione a distanza usando Zoom, Webex, tantissime slide, filmati e molto altro. Tutto un pò diverso da prima. Però mi sono accorto che qualcosa è rimasto uguale. Avere buoni contenuti da trasmettere e saper comunicare in modo efficace, arrivare al tuo pubblico è quello che faceva e, tuttora, fa la differenza. Se vi trovate in accordo con la mia linea di pensiero, allora vi invito a leggere quanto ho pubblicato. Se, invece, la pensate in maniera diversa, leggete lo stesso. Personalmente sono convinto che la mia esperienza vi possa essere utile, sia che vi troviate nel primo o nel secondo caso. Per questo l'ho definita "formazione da prendere al volo", nel senso di un'occasione importante da non lasciarsi sfuggire. Un pò anche perché di cognome faccio Colombo.
Un'ultima raccomandazione (notare il grassetto): non basta leggere, occorre mettere in pratica, ogni giorno. La formazione vuol dire proprio il voler dare consapevolmente una forma alle proprie azioni.

Parlare ad un pubblico
1. introduzione - 2. Il pubblico - 3. Il luogo - 4. La preparazione del discorso - 5. La stesura del discorso
6. La memorizzazione del discorso - 7. Come comunichiamo: premessa - 8. Come comunichiamo: il linguaggio del corpo
9. Come comunichiamo: l'energia personale - 10. Come comunichiamo: l'attenzione
11. Come comunichiamo: il coinvolgimento - 12. Come comunichiamo: l'influsso - 13. Non rimane che l'allenamento
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Parlare ad un pubblico
1. INTRODUZIONE
“Parlare in pubblico”, “L’arte di parlare in pubblico”, “Come superare la paura di parlare in pubblico”, “Le dodici regole d’oro per parlare in pubblico”. E così via, possiamo procedere all’infinito. Potrebbe essere solo l’inizio di un lungo elenco di titoli, di altrettanti manuali scritti su un tema sempre vivo, attuale e, terribilmente, spinoso. Soprattutto per chi vi si cimenta per la prima volta in assoluto o, comunque, è alle prime armi. In ogni caso, aldilà del titolo, più o meno accattivante, ci imbattiamo sempre nella preposizione “in”. Nulla di più sbagliato. L’utilizzo della preposizione semplice “in” sembra evocare il pubblico come un’entità neutra, immobile, assimilabile ad un luogo. Noi diciamo, ad esempio, vado in vacanza in Sicilia, ieri sono andato in pizzeria, porto il pullover in tintoria. Sappiamo che per il pubblico non è così. Funziona in modo diverso, per fortuna.
Il pubblico è vivo, animato. Pone domande, vuole risposte, partecipa, applaude, provoca, a volte è assente, pensa ad altro. Noi siamo lì non per “parlare in pubblico”, ma per “parlare ad un pubblico”. Ogni pubblico ha e avrà, sempre, caratteristiche proprie. Con aspettative, desideri, pregiudizi altrettanto unici e diversi da ogni altro tipo di pubblico.
Questo è l’assunto da cui parto per fornire alcune linee guida per chi si trova per studio, per lavoro, per svago e per mille altri motivi, ad affrontare, a vivere questo tipo di esperienza. Oggi, saper parlare davanti a più persone e nelle occasioni più diverse, saper esporre il proprio punto di vista è una necessità che non possiamo più spostare in là nel tempo. A meno che, siamo già abili nel farlo.
Probabilmente molti si stanno già chiedendo se, attraverso la lettura di questo manuale, potranno superare in via definitiva o, quantomeno, attenuare l’ansia che li assale quando devono parlare ad un pubblico.
La lettura è sicuramente il primo passo per fissare alcuni concetti chiave, ormai sperimentati e condivisi da tempo da molti esperti che si occupano di comunicazione. La differenza, come sempre, la fa la pratica, l’allenamento costante, l’automiglioramento continuo. In fondo, allenarsi a parlare ad un pubblico non è molto diverso dall'allenamento sportivo o di altra natura. Ogni volta aumenti la tua preparazione, commetti degli errori, ti riprendi, migliori la tua prestazione. L’importante è non stancarsi mai di ripetere e, soprattutto, “correre il rischio di fare una brutta figura”. È il solo modo che conosciamo per arrivare all’obiettivo di saper parlare ad un pubblico, ad ogni obiettivo che si vuole conseguire.
Indi poscia, se anche tu vuoi arrivare alla meta, alza l’asticella delle difficoltà, raggiungi risultati più elevati, più sfidanti, rimettiti in gioco.
Buon allenamento!
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2. IL PUBBLICO
La regola aurea per parlare ad un pubblico è conoscere il nostro pubblico.
Ricordiamoci sempre che ogni pubblico è diverso da un altro. Ecco una serie di domande che ci possono essere utili per conoscere meglio i partecipanti:
Quanti sono?
Chi sono?
Che esperienze hanno?
Cosa pensano?
Cosa amano?
Che interessi hanno?
Perché partecipano all’evento?
Cosa voglio dire per catturare la loro attenzione?
Che domande posso aspettarmi?
Cosa devo fare attenzione?
Cosa devo evitare?
Cosa mi rallegra?
Più informazioni riusciamo ad ottenere, meglio saremo in grado di progettare, realizzare, confezionare il nostro intervento secondo i gusti, le attese dei partecipanti.
Infatti, dobbiamo sempre ricordarci che il nostro obiettivo ultimo è quello di influire, o meglio influire positivamente sul nostro uditorio. Per gli influssi negativi, occorre fare meno fatica. Non serve prepararsi troppo. Allora non resta che prendere il nostro discorso, il nostro intervento, metterlo sotto una lente d’ingrandimento. Lo osserviamo, lo poniamo in relazione alle possibili reazioni che noi vogliamo suscitare nel nostro pubblico. Cerchiamo di prefigurare se quello che andremo a dire e, soprattutto, come lo diremo sarà in grado effettivamente di suscitare nel nostro uditorio la reazione che noi desideriamo, che ci prefiggiamo come obiettivo.
Ovviamente tutto questo non ci interessa se siamo lì solo per sensibilizzare il pubblico su un argomento. (mi permetto, in questo caso, di ricordare che il sensibilometro non è ancora stato inventato). Se, invece, cosa che ritengo più logica, siamo lì per vendere un’idea, un prodotto, un servizio, un business. Al termine del nostro intervento o, in successivi contatti, occorre avere la misura se siamo stati efficaci o meno. Alla fine, quello che conta sono i risultati.
“Parlare ad un pubblico” è una guida che basa la sua ragion d’essere sulle azioni concrete, pratiche da mettere in campo per tutti coloro che si cimentano nel parlare ad altre persone. Il punto focale di questa guida è una riflessione sul “modo”, vale a dire su “come” noi comunichiamo. Quando arriverai alla fine, cerca di mettere in pratica, cerca di migliorare il tuo modo di comunicare, di influire positivamente sui tuoi ascoltatori. Vedrai che è solo una mera questione di allenamento. Credimi, ci siamo passati tutti.
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3. IL LUOGO
Il filo conduttore di questa guida è il pubblico. Entità astratta di cui normalmente ci si occupa poco. Solo alla fine quando ce lo troviamo davanti ci rendiamo conto che esiste. Spesso, è troppo tardi. Salvo poi scoprire che è il vero punto di partenza, il solo punto di arrivo di tutto quanto. L’alfa e l’omega della comunicazione.
Ma a discorso concluso, non si può più influire sul passato. Possiamo solo riflettere su cosa faremo di diverso, di meglio alla prossima occasione. Intanto, come minimo, dopo il nostro intervento non ci sentiremo soddisfatti di noi stessi. La nostra autostima ne potrà risentire.
Se l’occasione è importante, non ci sono costi elevati da sostenere e c’è il tempo necessario, cerchiamo di vedere prima il posto, il luogo dove incontreremo il pubblico e assicurarci che ci siano tutte le condizioni affinché possa sentirsi a suo agio.
Il sopralluogo permette di conoscere la dimensione, la forma della sala, la disposizione dei posti e la zona in cui ci posizioneremo. In questo modo possiamo organizzare in anticipo i nostri movimenti, in funzione dello spazio disponibile.
Ecco una check-list che può essere utile.
Dove ci posizioneremo?
Staremo seduti o in piedi?
Parleremo da soli o con altri oratori?
A che distanza saremo dal pubblico?
Se proietteremo delle immagini, dei filmati lo faremo autonomamente o ci sarà una persona dedicata?
Com’è l’acustica?
Come sono le luci?
Avremo a disposizione un microfono da tavolo o portatile?
Sapere, o meglio vedere di persona tutti questi elementi, aiuterà a sentirci a nostro agio, a prendere confidenza con l’ambiente. Se poi ci sono le condizioni, possiamo provare il discorso a sala vuota. Del resto, se gli attori di teatro lo fanno, perché non lo possiamo fare anche noi?
Se per tutta una serie di motivi non possiamo accedere al luogo dell’incontro nei giorni precedenti l’intervento, cerchiamo di farlo almeno il giorno stesso, qualche ora prima della nostra esposizione.
Poi, anche se abbiamo fatto un sopralluogo in tempo utile è, comunque, preferibile arrivare un po’ prima nel luogo dove si terrà l’incontro onde poter gestire eventuali imprevisti (connessione internet, cambio della sala, apparecchiature da sostituire, personale tecnico diverso da quello con cui avete preso accordi in precedenza ecc.).
Tutto ciò contribuisce a farci sentire più rilassati, ad occuparci d’ altro. Ovvero, su come influire positivamente sui nostri interlocutori. Siamo lì proprio per questo.
Dimenticavo, ancora due cose.
Proviamo a sederci in diverse posizioni nella sala, in modo da accertarci cosa riuscirà a vedere il pubblico da seduto. Se abbiamo delle immagini, proiettiamole. Verifichiamo se sono ben visibili da tutte le parti della sala.
Controlliamo la temperatura, il funzionamento, a seconda della stagione, dell’aria condizionata o del riscaldamento. Se il pubblico si troverà a soffrire il freddo o il caldo, l’insuccesso è assicurato. È difficile che possa darci il massimo dell’attenzione, un feedback positivo. Non vedrà l’ora che tutto finisca e che se ne possa, finalmente, andare.

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4. LA PREPARAZIONE DEL DISCORSO
“La preparazione è la chiave del nostro successo personale”. È un motto che vale sempre, in qualsiasi attività umana pratica o intellettuale che sia. Vale, ovviamente, anche per chi si appresta a parlare ad un pubblico.
La prima cosa di cui un oratore, o speaker che dir si voglia, si occupa, sono i contenuti del suo discorso. Indipendentemente dal fatto che sia lui a scrivere in prima persona o si affidi ad altri (componenti del team di lavoro, collaboratori, ghostwriter, ecc.).
Al punto zero della preparazione del nostro discorso, occorre mettere sempre il fattore tempo. È essenziale conoscere la durata del discorso, soprattutto se nell’incontro sono previsti diversi relatori. A volte, si può essere costretti ad accorciare il nostro intervento, nel caso in cui chi ci ha preceduto è andato lungo o per motivi diversi.
In questi casi, non lasciamoci prendere dal panico, velocizzando la nostra esposizione in modo eccessivo, creando così solo confusione nel pubblico. Al contrario, cerchiamo di mantenere la calma, la concentrazione. Sintetizziamo in breve i punti fondamentali del discorso, eliminando i concetti superflui.
Prima però di arrivare alla stesura finale, ad un discorso formalizzato, limato, affinato, definitivo è necessario partire dalla produzione di idee e metterle nero su bianco. Perché no, si possono, usare anche immagini e colori, come nell’esempio riportato in alto. Il disegno ci mostra il risultato di un freewheeling, che è una sorta di brainstorming individuale, incentrato sul tema della SOLIDARIETA’. La grafica utilizzata è una mappa mentale, ovvero una rappresentazione del nostro modo di ragionare, del funzionamento del nostro cervello, quando siamo alla scoperta di nuove idee. Il cervello a fronte di una sollecitazione, una ricerca di idee su un tema centrale è in grado di generare un’infinità di risposte, in modo casuale, spontaneo, disordinato, creativo. Queste idee però non devono essere subito organizzate come se fossero gli elementi della lista della spesa, un elenco formale.
Nell'esempio riportato il nostro relatore ha preso un foglio, dal classico formato A4, dove al centro ha inserito il titolo, in questo caso “SOLIDARIETA’” e vi ha disegnato un cerchio attorno. Da questo cerchio, o meglio ellisse, facciamo partire dei rami, prima in alto a destra e poi, via via, in senso orario. Ogni ramo primario rappresenta una parola chiave. (impegno, equità...)
Paragonandolo ad un libro possiamo dire che al centro del foglio mettiamo il titolo, ogni ramo rappresenta un capitolo, da cui partono dei rami secondari che sono i sotto capitoli.
Volendo possiamo aggiungere delle immagini. È, infatti, arcinoto il modo di dire orientale “un’immagine vale più di mille parole”. Dunque, se in un disegno ci sono 10 immagini è come se contenesse l’equivalente di 10.000 parole. E, se aggiungiamo anche i colori, usando un colore diverso per ogni ramo, cristallizziamo, ricordiamo meglio i concetti espressi. Questo modo di procedere, utilizzando le mappe mentali, ideate da Tony Buzan, famoso psicologo, studioso inglese, massimo esperto di metodologie di apprendimento rapido, consente veramente una libera crescita esponenziale della nostra creatività.
Una volta costruita, disegnata la nostra mappa mentale attorno all’argomento oggetto del nostro intervento e a tutte le sue sfaccettature, possiamo passare ad una fase successiva, ovvero alla stesura classica del nostro discorso. Ci metteremo davanti al nostro portatile e inizieremo a costruire il nostro discorso in modo lineare. Parola per parola, riga dopo riga. E, se previste, ci dedicheremo anche alla produzione di slides, alla scelta di filmati da proiettare durante il nostro intervento. Rarissime sono, infatti, le presentazioni dove sono assenti le immagini da proiettare, siano esse fisse o in movimento. Oggi la lavagna a fogli mobili, quando presente in sala rischia di essere scambiata e utilizzata come un appendiabiti.
Consiglio vivamente di tenere sempre a portata di mano la nostra mappa mentale. In ogni momento, costituisce e costituirà, una chiave d’accesso facile, immediata a tutte le informazioni, nozioni depositate nelle aree del nostro cervello. È in grado di riassumere, in modo efficace ed efficiente, su un unico foglio un argomento intero, anche se complesso. Infine, è disponibile in ogni momento. Ci aiuterà a mantenere la rotta anche durante la nostra esposizione e, se del caso, anche ad allontanarci dalla nostra scaletta iniziale. In ogni momento, grazie alla nostra mappa mentale, saremo in grado di riprendere la rotta tracciata. Tutto ciò consentirà di arrivare all’obiettivo della nostra comunicazione.
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5. LA STESURA DEL DISCORSO
A questo punto, abbiamo davanti a noi la mappa mentale e ci apprestiamo a scrivere il nostro discorso. La mappa contiene tutti gli elementi costruttivi dell’intervento, i mattoncini del nostro LEGO. Dobbiamo, o meglio vogliamo realizzare la nostra costruzione che sarà unica e originale.
Il nostro compito è quello di concatenare, assemblare i mattoncini in modo che abbiano un senso preciso, che diano vita ad una costruzione stabile, funzionale e compiuta. Bella da vedere, da ascoltare.
Riprendiamo l’esempio della SOLIDARIETA’, vediamo che abbiamo indicato 9 rami o temi principali da svolgere:
impegno
associazione
solidità
livelli
sicurezza
unione
mutua assistenza
destino comune
equità
Ora si tratta, in prima battuta, di decidere se sviluppare tutti gli argomenti, fare una selezione e, infine, in quale ordine presentarli. E, via via, declinandoli secondo l’esplosione creativa dei rami secondari e terziari.
Quali sono gli elementi costitutivi, le fasi di un discorso? È proprio il caso di dirlo, (anche se è una ripetizione): su come scrivere un discorso sono stati scritti molti, moltissimi discorsi. Libri, manuali, guide, vademecum…nonché tutorial. Tutti strumenti con una loro ragion d’essere, con una loro utilità, validità. Ricercando nella vasta bibliografia sull’argomento e sulla base delle esperienze maturate, mi sento di fornire alcuni consigli, frutto di sperimentazione pratica.
Innanzitutto, usiamo parole semplici. (Salvo che non siamo in un contesto aziendale o scientifico dove sappiamo che ci troviamo di fronte ad un pubblico di esperti). Usiamo la lingua, il vocabolario, il codice di comunicazione del nostro pubblico.
Non utilizziamo frasi troppo lunghe. I messaggi brevi favoriscono la comprensione e il ricordo da parte di chi ci ascolta. Anche noi, come oratori, facciamo meno fatica a pronunciare e a ricordare.
Un’altra cosa che risulta utile sono gli esempi concreti. Sono utilissimi soprattutto quando si tratta di fornire dati numerici. (dire, ad esempio, che un certo numero corrisponde in grandezza alla circonferenza della terra, fa un maggior effetto che enunciare il numero stesso in cifre).
Similitudini e aneddoti, infine, alzano il livello di attenzione degli ascoltatori e facilitano la comprensione dei concetti.
Fare, sempre, uso di domande. Soprattutto di domande aperte per generare curiosità, per risvegliare l’attenzione.
Chi?
Come?
Cosa?
Quando?
Dove?
Come?
e, infine, la domanda chiave, la più potente: Perché?
Stiamo parlando, ovviamente, di domande retoriche, che servono per catturare, stimolare, rialzare l’attenzione dell’uditorio. Allenatevi a pensare per domande e non per affermazioni. Se decidete, invece, che il vostro intervento debba essere interattivo allora le domande le rivolgerete al pubblico. (Ca va sans dire) ( manca la cediglia sotto la c, ma va bene lo stesso).
Ultimo ma non ultimo, anzi potrebbe essere un punto zero: il discorso deve avere un filo logico, essere chiaro e ruotare attorno ad una tesi centrale.
Le slides sono diventate ormai parte integrante, a volte la principale di ogni presentazione. Sono utili al pubblico per seguire, danno struttura e ritmo al nostro discorso. Aiutano anche nel guidarci nella gestione del tempo. Se ben fatte, sono una specie di bussola grazie alla quale sarà molto più difficile perdersi.
Quante slides creare? Dipende, ovviamente, dal tempo che abbiamo a disposizione. Per una presentazione, ad esempio, della durata di venti minuti non si dovrebbero utilizzare, in media, non più di 10 / 12 slides.
Cosa veramente importante da evitare è quella di riportare nelle slides tutto il discorso, limitiamoci a definire gli argomenti per punti. Personalmente consiglio non più di tre, al massimo quattro punti per ogni slide. Non riempite le slides di un numero eccessivo di informazioni.
Spesso mi è capitato di vedere slides che riportano puntualmente il commento dell’oratore, parola per parola. A quel punto conviene che l’oratore, lasci che le slides scorrano da sole. Esca dalla sala, ritorni solo alla fine per ringraziare il pubblico per la pazienza.

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6. LA MEMORIZZAZIONE DEL DISCORSO
Abbiamo completato il nostro intervento?
Ci sembra di aver messo per iscritto, in forma estesa o sintetica, tutto quello che abbiamo da dire, anche in relazione al tempo che ci è stato indicato?
Abbiamo realizzato un numero congruo di slides, rispettando le indicazioni grafiche che ci sono state fornite? (dimensione caratteri, font, colori, posizionamento, loghi, ecc.)
Bene, se abbiamo risposto positivamente alle tre domande iniziali, (che potrebbe anche essere un modo per impostare la vostra presentazione) ora dobbiamo fare nostro tutto questo, in modo che il nostro intervento possa risultare il più naturale possibile. Diceva un famoso attore di teatro, parlando del segreto del suo mestiere, che: “Bisogna avere il copione in testa e non la testa nel copione!”. Questo vale sempre, se si vuole veramente essere presenti, saper trasmettere e saper ricevere emozioni dal pubblico. Se abbiamo la testa occupata su cosa dobbiamo dire, siamo preoccupati di ricordarci tutto, non abbiamo il tempo per occuparci del nostro pubblico. Ovviamente, ci ripagherà con la stessa moneta. Si farà gli affari suoi. Non c’è altra soluzione possibile.
Bene non resta che allenarci. Provare e riprovare, finché non ci sentiremo soddisfatti della nostra prestazione. Repeat, again! O se preferite “Provando e riprovando”.
Consiglio vivamente di evitare, nel modo più assoluto, di tentare di memorizzare ogni singola parola del discorso. Primo, perché nella maggior parte dei casi è impossibile e, anche nel caso lo si possa fare, è una fatica immane che possiamo risparmiarci. Secondo, anche se pensiamo di essere più sicuri imparando meccanicamente una sequenza di parole, rischiamo di perdere il contatto con ciò che diciamo. La nostra energia personale raggiunge il livello minimo e, soprattutto, perdiamo il contatto con il pubblico.
Cerchiamo sempre di conoscere bene l’argomento di cui parliamo, non limitiamoci ad una insidiosa conoscenza mnemonica. Più siamo in grado di esporre lo stesso concetto, utilizzando termini diversi, più saremo in grado di riprendere il filo del discorso in ogni momento.
Esercizio, dunque, esercizio e, ancora, esercizio. Provare il nostro discorso più volte e più volte ad alta voce, anche da soli. Cerchiamo di utilizzare sinonimi e termini equivalenti a quelli che abbiamo messo per iscritto. Arricchire il nostro vocabolario, è fondamentale per il successo di un buon discorso.
In effetti stiamo imparando a improvvisare, mantenendoci però fedeli ai punti fermi che abbiamo stabilito. Questo è ciò che fanno le persone che sanno parlare in pubblico: sanno improvvisare su un tema prestabilito. Inoltre, pian piano, ci accorgeremo che l’intervento sta prendendo corpo, ma senza diventare “ingessato”.
Avvertenze per l’uso: qui l’improvvisazione non è intesa nell’accezione di non sapere nulla e di essere in grado di cavarsela, inventando di sana pianta. Qui l’improvvisazione è vista, invece, come la capacità creativa di aggiungere, modificare, arricchire il nostro intervento. Sapendo cogliere gli spunti che possono provenire dal pubblico. Il tutto, sottolineo tre volte almeno, è possibile farlo solo se conosciamo il nostro argomento in profondità.
Voglio ancora una volta ribadire che durante le prove è utile, anzi necessario cambiare sempre qualcosa. Se ci viene una frase diversa per illustrare un pensiero, una metafora o un esempio per esprimerlo meglio, benissimo. Nella ripetizione successiva possiamo cambiare ancora un po’ la nostra esposizione, sull’onda di nuove idee. Ripetere l’ho appunto usato nell’accezione di eseguire di nuovo un’azione, apportando delle varianti.
Dopo un certo numero di prove, quando cominciamo a essere più soddisfatti dei nostri risultati, proviamo a vedere se, con il tempo che avremo a disposizione, riusciamo a esporre il discorso per intero. Facciamo una prova, usando l’orologio. Teniamo il tempo. Potrebbe succedere che, a causa della numerosità dei contenuti scelti o del nostro modo di esporli, non abbiamo abbastanza tempo. In questo caso, la cosa migliore non è accelerare la nostra esposizione, perderemmo solamente in chiarezza ed efficacia. Meglio allora rivedere la presentazione e fare uno sforzo di sintesi, sfrondando o eliminando, in particolar modo, gli argomenti secondari.
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7. COME COMUNICHIAMO: PREMESSA
Ogni discorso è fatto essenzialmente di due componenti: il “cosa”, ovvero i contenuti di cui ci siamo occupati nei capitoli precedenti, e il “come”, cioè il modo in cui noi comunichiamo.
Possiamo affermare che, una comunicazione efficace, per il 33% dipende dal "cosa" diciamo (verbale) e per il 67% dipende dal "come" lo diciamo (non-verbale e para-verbale). Ci può capitare anche di trovare percentuali diverse: il 7% in luogo del 33% e il 93% in luogo del 67%. Ma questo è frutto di una cattiva interpretazione di quanto aveva scoperto Albert Meharabian, noto psicologo statunitense di origine armena, negli anni sessanta. Poi ha dovuto precisare che i pesi da lui indicati valgono solo se stiamo trasmettendo emozioni, sentimenti. Non vale in senso generale, come hanno erroneamente interpretato e raccontato stuoli di formatori per tanto tempo, causando scompiglio e ammirazione tra i partecipanti ai loro corsi.
In ogni caso, per constatare la prevalenza del “come” sul “cosa”, basta che ci soffermiamo un attimo. Pensiamo alla nostra personale esperienza e meditiamo sull’influsso che durante l'ultimo convegno il “relatore A” ha esercitato su di noi, rispetto al “relatore B”. In entrambi i casi, i contenuti dei discorsi erano ben strutturati, interessanti.
Allora cosa ha fatto la differenza, la vera differenza tra i due? La risposta è una ed una sola. Vale a dire, il "come". Sorge, quindi, spontanea la domanda su “come possiamo lavorare sul come?”.
Come posso migliorare la mia efficacia di oratore?
Come mi posso allenare?
Per fare ciò possiamo utilizzare uno schema di allenamento che svilupperemo, punto per punto, nel prossimo capitolo. Potete usarlo, ogni volta che volete, come strumento di miglioramento personale e, nello stesso tempo, come griglia di osservazione da fornire a chi vi segue nei vostri allenamenti e ha occasione di partecipare ai vostri interventi. Chiedete loro un feedback puntuale, sincero e costruttivo.
Lo schema di allenamento, come vedremo, prende in considerazione 5 elementi:
Linguaggio del corpo
Energia personale
Attenzione
Coinvolgimento
Influsso
Ogni elemento verrà poi declinato in sottoelementi: ad esempio, quando parleremo del linguaggio del corpo ci riferiremo alla postura, al contatto visivo e ai gesti.
I 5 elementi con i relativi sottoelementi, infine, possono essere inseriti in una scheda che ciascuno di noi può costruirsi secondo uno stile personale. La scheda avrà una duplice funzione: essere utilizzata come strumento di autovalutazione da parte nostra e come strumento di valutazione, o se preferite feedback, da parte di persone pazienti che vorranno fornire un contributo alla nostra crescita, in termini di efficacia nel saper comunicare in pubblico.

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8. COME COMUNICHIAMO: IL LINGUAGGIO DEL CORPO
Partiamo dal linguaggio del corpo e prendiamo in considerazione i tre sottoelementi che lo compongono:
postura
gesti
contatto visivo
La postura e i gesti rivelano molto del nostro stato d’animo, del nostro io profondo, interiore. Una persona ansiosa tende a tenere le mani in tasca e rimane rigida nella stessa posizione. A volte, si fa da parte man mano che parla, quasi voglia dissolversi, scomparire, essere da un’altra parte. Questi comportamenti, purtroppo, finiscono per indebolire l’autorevolezza del discorso.
Durante l’intervento, bisogna cercare di dare il meno possibile le spalle al pubblico, se non per il tempo necessario per illustrare alcune parti di una slide. Rimaniamo al centro della stanza, del palco. Dobbiamo essere come “scoglio contro vento e maree”. Noi ci siamo. Siamo lì per stabilire un contatto con il pubblico, per comunicare.
In ogni caso, teniamo sempre una mano libera. Avremo così la possibilità di sottolineare, enfatizzare determinati concetti con gesti appropriati e misurati. Usiamo la gestualità per dare enfasi, ma senza esagerare. Aristotele affermava che le mani sono una diramazione del cervello. Basti pensare a quante volte attraverso di esse capiamo una miriade di cose del nostro interlocutore.
Dedichiamo del tempo, ogni volta che ci è possibile, per migliorare la nostra postura. Qualora avvertiamo delle tensioni, per esempio nelle spalle e nelle gambe, rilassiamo i muscoli interessati. Facciamo qualche prova stando in piedi in mezzo alla stanza, senza punti d’appoggio, in posizione eretta ma non rigida. Prestiamo attenzione a non tenere la testa bassa o le spalle curve. Inoltre, evitiamo di assumere posture cosiddette di chiusura: incrociando le braccia davanti al petto o tenendo le mani in tasca. Possiamo passeggiare mentre parliamo, sciogliendo la tensione delle gambe qualora fosse necessario. L’importante è farlo in modo tranquillo, con una frequenza limitata. Altrimenti diamo l’impressione del futuro papà che passeggia nervosamente su e giù per il corridoio, in attesa che l’infermiera esca dalla sala parto, per annunciare la nascita dell’erede.
Il contatto visivo che stabiliamo con chi ci ascolta è un aspetto molto importante della comunicazione efficace. Gli oratori inesperti o ansiosi tengono lo sguardo basso o fisso sulla slide, oppure solo su una parte della platea, ignorando tutti gli altri. Avremo davvero l’attenzione del pubblico, invece, se ci rivolgiamo in direzioni diverse, anche incontrando lo sguardo di singoli spettatori. Così facendo, ciascuno si sentirà chiamato in causa, si sentirà importante, come se gli stessimo parlando in un colloquio a tu per tu.
Per allenarci ad utilizzare l’attenzione in modo flessibile posizioniamo alcuni oggetti a diversa distanza. Mentre ripetiamo il nostro discorso, assicuriamoci di alternare lo sguardo su tutti gli oggetti. Cerchiamo di farlo in modo lento. Guardiamone uno per alcuni secondi e poi, senza fretta, spostiamoci su quello successivo. La sequenza con cui lo facciamo dovrebbe essere, il più possibile, casuale.
Bene, a questo punto prendiamoci il tempo necessario per un’analisi personale dei nostri comportamenti. (Cosa che vi invito a fare anche per i capitoli successivi). Andiamo a rilevare per ciascuno dei sottoelementi presi in considerazione, vale a dire:
postura
gesti
contatto visivo
il nostro punto di partenza: le cose che ci riescono meglio e quelle dove c’è da lavorare di più.
Poi ci alleniamo a ripetere, finché non avvertiamo un miglioramento.
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9. COME COMUNICHIAMO: L'ENERGIA PERSONALE
La nostra energia personale si basa su tre sottoelementi:
sorriso
sentimento
voce
Il sorriso nella comunicazione aiuta molto, e non solo. Se rimaniamo sempre seri, peraltro, mettiamo in moto un numero di muscoli e muscoletti facciali di gran lunga superiore a quelli che servono per sorridere. Con il sorriso trasmettiamo, semplicemente e immediatamente, tutta la nostra serenità e il piacere di stare con le persone che abbiamo davanti. Molti sono gli aforismi sul sorriso. Tra i molti ne ho scelto uno ed è questo: “Il sorriso dura un’istante. Il suo ricordo può durare tutta la vita”.
Ogni comunicazione non è mai neutra. Noi comunichiamo noi stessi, il nostro modo d’essere, i nostri sentimenti. A noi decidere quali sentimenti vogliamo condividere con il nostro pubblico.
Sulla voce vi invito a fare subito un check-up personale. Poniamoci alcune domande:
Parliamo a voce troppo bassa?
Siamo lenti e monocordi?
Siamo frettolosi a tal punto che mangiamo le parole?
Tutte le frasi hanno la stessa identica cadenza?
Se abbiamo risposto positivamente a tutte le domande, siamo messi veramente male. Questi modi di comunicare possono annoiare, distrarre o infastidire il pubblico. Invece, a seconda del significato che vogliamo dare a ciò che stiamo dicendo, il tono di voce più appropriato potrebbe essere basso o acuto, lento o più spedito. Alcune parti richiederanno calma e riflessività nella loro esposizione. Altre energia, molta energia, velocità di eloquio. State tranquilli. Sono tutte cose che s’imparano con la pratica, con l’allenamento.
Certo sarà più facile mettere in pratica tutto ciò se, come abbiamo visto prima, “abbiamo il copione in testa e non la testa nel copione”. Sarà più facile immedesimarsi nel significato di quello che stiamo dicendo, saremo più naturali. Cioè, noi stessi.
Mi piace concludere con una frase di George Bernard Shaw che così recita: “Col tono giusto si può dire tutto, col tono sbagliato, nulla: l’unica difficoltà consiste nel trovare il tono”.
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10. COME COMUNICHIAMO: L'ATTENZIONE
L'attenzione, saper catturare e mantenere l'attenzione del pubblico è l'elemento vitale in ogni incontro con il pubblico. Per ottenere ciò ogni oratore ha a sua disposizione tre leve:
il silenzio iniziale
le domande
le pause.
Partiamo dal silenzio. Pochi la considerano la più alta, la più sottile, la più interessante forma di comunicazione. (A volte, anche la più auspicabile). Una sana e consapevole gestione del silenzio è un mezzo importante per influire sui nostri interlocutori. Molti, invece, si chiedono a cosa serve il silenzio?
Mi vien subito da dire: "A tante cose". Intanto è sempre opportuno un breve silenzio iniziale, per catturare l’attenzione del pubblico. Bastano tre secondi di silenzio prima di iniziare il nostro discorso. L’immagine che possiamo richiamare alla mente è quella del direttore d’orchestra. Pensiamo al momento in cui alza la bacchetta in attesa che in sala ci sia silenzio assoluto, cessi il leggero brusio che ancora aleggia e anche l’ultimo spettatore sul loggione faccia silenzio, prima di scagliare la prima nota.
Per noi la prima nota è la nostra apertura del discorso.
Come cominciare?
Cosa dire all’inizio?
Anche in questo caso, come in tutta la comunicazione, non ci sono regole fisse. Vi propongo alcuni modi possibili per esordire. A voi scegliere quello che è più vicino al vostro modo d’essere.
Per impressionare positivamente il pubblico, possiamo:
raccontare una storia personale
usare una frase ad effetto, citando cose e fatti di cui siamo sicuri che il pubblico non è ancora a conoscenza
farci una domanda retorica per innescare subito nel pubblico curiosità, voglia di approfondire gli argomenti
fare una battuta umoristica.
La scelta dipende da noi, dal taglio che vogliamo dare al nostro intervento e dal contesto in cui saremo chiamati a parlare.
Dopo il silenzio e le domande iniziali, sono altrettanto importanti le pause.
Le pause servono per sottolineare, dare importanza a ciò che abbiamo detto. Creare attenzione, dare rilievo a ciò che andremo a dire. Lasciar sedimentare nel cervello dei nostri ascoltatori concetti che hanno bisogno di una qualche riflessione, prima di essere metabolizzati. Lasciar assaporare, agire in profondità le emozioni che abbiamo trasmesso, suscitato. Le pause servono, ovviamente, anche all’oratore per riprendere fiato e, a volte, sono utili per poter pensare a possibili varianti del discorso.
Le pause diventano essenziali, quando arriva il momento delle domande. Una pausa di pochissimi secondi ci aiuta a raccogliere le idee, prima di formulare la risposta. Servono anche per trovare la giusta tranquillità nel rispondere, quando ci dovessero arrivare delle domande un po’ urticanti.
Parlare ad un pubblico
11. COME COMUNICHIAMO: IL COINVOLGIMENTO
Il coinvolgimento poggia su due pilastri:
fare domande
forma noi
Le domande sono molto utili. Tengono molto più alta l’attenzione del nostro pubblico, rispetto all’uso continuo di affermazioni. Mettono in moto le cellule grigie dei nostri interlocutori, ci danno la possibilità di conoscere il loro punto di vista e molto altro ancora.
A questo proposito vi racconto un episodio accaduto negli Stati Uniti d’America nella metà dell’ottocento. Allora il trasporto merci e persone era monopolio delle compagnie di navigazione che solcavano il fiume Mississippi che scorreva, e scorre tuttora, da nord a sud per quasi 3.800 chilometri. Erano diventate potentissime e, ovviamente, non vedevano di buon occhio il nascere della ferrovia che collegava l’est verso l’ovest. Arrivata nei pressi del fiume, la neonata linea ferroviaria per proseguire aveva bisogno di un ponte per arrivare dall’altra parte del fiume. I ponti andavano costruiti, ma la cosa trovò una fortissima opposizione delle compagnie di navigazione e allora portarono la causa in tribunale. Le compagnie di navigazione potevano permettersi uno stuolo di avvocati di grande fama, mentre la nascente ferrovia poteva avvalersi di un solo giovane avvocato, smilzo, neolaureato e neanche del posto.
Arrivati all’arringa finale, il giovane avvocato fece un discorso del seguente tenore, rivolgendosi ai giudici, guardandogli negli occhi:
" Siamo noi un popolo democratico?
"I diritti dei cittadini che vanno da est a ovest sono uguali o diversi dei diritti dei cittadini che vanno da nord a sud? "
E voi, signori giudici, come farete a stabilire le differenze?”.
Il giovane avvocato era Abramo Lincoln, allora un semplice sconosciuto.
Ma cosa fece Lincoln?
Anziché fare affermazioni che avrebbero generato opposizione, mise in moto il cervello degli ascoltatori con delle domande. Tre semplici domande. Apparentemente innocue, ma che fecero la differenza nel vincere la causa. Dunque, usiamo più domande possibili, rispetto alle affermazioni. Proviamo e risulteremo più convincenti.
Quando un oratore si esprime usando la forma “io e voi” crea, di norma, una barriera, un solco, un distacco tra lui e il pubblico. Ad ogni utilizzo dell’io e del voi il distacco aumenta, a volte si creano inconsciamente dei muri, delle barriere tra lo speaker e il pubblico. La forma noi anziché allontanare avvicina, accomuna. “Noi tutti insieme stiamo lavorando per uno stesso obiettivo”. “I nostri risultati”. “Le nostre paure il nostro coraggio”, e così via.
Parlare ad un pubblico
12. COME COMUNICHIAMO: L'INFLUSSO
Se vogliamo esercitare un influsso positivo sul nostro pubblico dobbiamo prima rispondere ad una semplice domanda. “A chi sono interessati i nostri partecipanti?”
In primo luogo, a se stessi, in secondo luogo a se stessi e, in terzo luogo, ancora a se stessi. Così via, potremmo rispondere all’infinito.
Lui è importante, lui deve essere, rimanere costantemente al centro della nostra attenzione. Pertanto, in quello che diciamo il nostro pubblico deve ravvisare un vantaggio o, meglio ancora, una serie di vantaggi.
Ad esempio grazie al prodotto, al servizio, alle soluzioni che stiamo proponendo il nostro pubblico potrà guadagnare del denaro, sentirsi alla pari delle persone che frequenta, entrare in possesso di un qualcosa di distintivo o risparmiare del tempo. Insomma, ogni partecipante è lì perché vuole trarre un vantaggio in termini di idee, di risoluzione ai suoi problemi. Noi dobbiamo offrirgli quello che lui si aspetta.
Parlare ad un pubblico
13. NON RIMANE CHE L'ALLENAMENTO
Per diventare oratori bisogna allenarsi. L’abilità oratoria si può imparare, allenare e migliorare. Anche le persone spigliate e brillanti, quelle che ci sembrano perfette come oratori, all’inizio hanno faticato, hanno avuto le loro difficoltà, non si sono scoraggiate, ma si sono allenate. Come in tutte le cose, c’è chi è più portato nel fare determinate attività, in modo naturale. Questo si chiama talento. Ma il talento, senza metodo e applicazione costante, non ci porta da nessuna parte: questa massima è applicabile in ogni attività. Il modo più efficace per migliorare un’abilità è acquisire le competenze di base e fare pratica. Tanta pratica. Allora possiamo affermare che: “La miglior maniera per imparare a parlare in pubblico è… parlare in pubblico”.
Pensiamo a quante cose abbiamo imparato a fare, nel corso della nostra esistenza. Camminare, leggere, scrivere, andare in bici, sciare …e tante altre ancora. Nessuna di queste cose però sapevamo già farle. Abbiamo dovuto imparare. E per imparare ci è servito del tempo e qualcuno che avesse la pazienza di insegnare. Quante volte siamo caduti, prima di saper andare in bici? Ora possiamo permetterci il lusso di pedalare senza mani. Per parlare in pubblico efficacemente è la stessa cosa. Ultimo, ma non ultimo, la paura dove la mettiamo?
Quella ci sarà sempre: avere paura di parlare davanti a un pubblico, non solo è normale ma è addirittura utile! Senza una buona dose di stress, nessuna performance può essere di ottimo livello.
Allora non rimane che l'allenamento, facendo vostro lo schema "LINEA CI".
L I N E A C I
il mio schema di allenamento
Linguaggio del corpo:
postura _______________________________________________
gesti _______________________________________________
contatto visivo _______________________________________________
Energia personale
sorriso _______________________________________________
sentimento ______________________________________________
voce _______________________________________________
Attenzione
gestione del silenzio _______________________________________
domande iniziali _______________________________________
pause ________________________________________
Coinvolgimento
fare domande ______________________________________________
forma noi ______________________________________________
Influsso
parlare dell’altro ______________________________________________
offrire vantaggi ______________________________________________